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In uno dei trattati del Talmud babilonese compare la figura del "Giusto" (Tsaddik), vero pilastro dell'universo, colui che sostiene tutto il peso del mondo. Nasce così, nella tradizione ebraica, la credenza che ogni generazione è "attraversata" da trentasei giusti nascosti, sconosciuti agli altri uomini e a se stessi, inconsapevoli dei poteri mistici che possiedono. Questi trentasei giusti salvano il mondo in virtù della loro ordinaria, semplice, umanità. Chiunque potrebbe essere un giusto, e se chiunque può esserlo, allora tutti devono esserlo. Questo è il senso della storia raccontata in "La scuola dei giusti nascosti". Storia dell'amicizia fra due ragazze, due adolescenti, una figlia di un gerarca fascista, l'altra di una famiglia del ghetto ebraico di Roma. A legarle è un amore quasi mistico nei confronti della scuola - vista come l'ultima possibile difesa contro l'intolleranza - e la sensazione di non appartenere al loro tempo. Un tempo triste, minaccioso, che inizia alla vigilia della promulgazione delle leggi razziali e si conclude il 16 ottobre 1943, giorno in cui gli ebrei del ghetto di Roma vengono "rastrellati" e poi deportati ad Auschwitz.